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Social media, brandscapes e user intention

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revolution Social media, brandscapes e user intention

Tornando dallo IAB Forum 2010 di Milano, quello che era un pensiero lontano e forse improponibile ormai assume una dimensione quasi emorragica: Facebook è ancora la Mecca della comunicazione online? Quel luogo conversazionale in cui bisogna, da agenzie o professionisti, inzeppare quanti più clienti possibile?

Si, lo è, ma è un brandscape, non IL brandscape.

Già allo SMAU 2010, in cui ero relatore, ho avuto modo di approfondire questa tematica con alcuni colleghi ed addetti ai lavori, quanto vale un Like su Facebook?
Ma soprattutto, quanto si avvicina all’ intention to try or to buy?

E’ un dilemma, anche se oltreoceano c’è già chi ( Facebook Fans Valued at $3.60 Each [STATS] ) ha dato un peso specifico ad ogni fan di una pagina aziendale.
Possiamo affermare con tutta franchezza che l’azienda non è presente su Facebook per vendere, rifacendoci anche alla prima tesi del Cluetrain Manifesto (i mercati sono conversazioni), l’azienda è lì per conversare, per comunicare con la propria community di affezionati e talvolta per fare customer care, in maniera pubblica e trasparente.
Ma quello che c’è nell’aria si sta diversificando, e le esigenze di misurazione sia del famigerato R.O.I. sui social media si affiancano alle necessità di stabilire quanto un like possa incidere poi sull’acquisto effettivo del bene o servizio.
A SMAU, chiacchierando con il mio caro amico Andrey Golub a proposito del suo progetto E-motional, una piattaforma di adv in video e di business intelligence a dir poco eccezionale, è uscito fuori proprio questo discorso, quanto è lontano il like dall’acquisto e quindi da un’entrata economica quanto meno “possibile” per l’azienda?
Molto, un pò troppo, ma non va da sè.

Il periodo storico, nel mio modesto modo di vedere le cose, sta rapidamente portando alla nascita di specializzazioni improvvisate nel settore social media, le web agency si riciclano in tal senso pur non conoscendo impatti e strategie comunicative su media sociali, questo comporta una visione per certi versi viziata, si perdono di vista dei contorni ben determinati che, se integrati nella strategia e negli obiettivi, posso portare ad enormi vantaggi da tutte e due le parti, per l’azienda e per l’agenzia o professionista.
Questo fiorire di professionalità che cavalcano solamente l’onda del successo del social network del momento impone una razionalizzazione a tutte quelle professionalità che lavorano nel campo già da qualche tempo: davvero è la Mecca o è solo un luogo tra i luoghi?

Le domande ce le siamo poste, ora bisogna razionalizzarle e trovare delle risposte adeguate.

Per quanto riguarda l’intention tro try or to buy, il like su Facebook può rappresentare indubbiamente un buon punto di inizio, il follow su Twitter può rappresentare la volontà del follower di voler essere aggiornato in real time sulle offerte o sui prodotti di una determinata azienda, ma lo strumento principe che rappresenta la prossimità al prodotto, può contenere l’intenzione per niente velata di acquistare tale prodotto e può comunicare agli altri dove trovarlo, è il check-in.
La geolocation è senza ombra di dubbio la rappresentanza vivente del social network strappato ai computer, messo in strada e mandato a fare shopping.
Uno strumento tecnico che ha seguito l’evoluzione della tecnologia e delle aspirazioni comunicative umane.
Fino a qualche tempo fa, si immaginava l’utente della rete come un soggetto, seduto ad un pc in una casa o in un ufficio, ora, nell’era degli smartphone lo vediamo andare in lavoro e magari scattare la foto ad un particolare curioso per poi condividerla su Facebook, lo vediamo alle prese con la famiglia o la fidanzata in una domenica al mare, in real time, in grado e con la voglia di comunicare la propria posizione, ciò che sta facendo e cosa sta pensando.
I tempi cambiano, le persone hanno a disposizione strumenti sempre più avanzati, e noi professionisti del settore non possiamo fermarci: Facebook è un brandscape che sta cedendo il passo a livello marketing a servizi di geolocalizzazione ma non per volontà di chi propone strategie marketing sui social network, ma per richiesta stessa delle aziende.
Più e più volte mi sono trovato a raccontare Facebook o vari LBS a commercianti e negozianti, ed il risultato, paradossalmente è stato molto più a favore della geolocalizzazione: capisco che è un benchmark un pò striminzito, ma una ricerca in tal senso darebbe risultati illuminanti.

Perchè abdicare a definire i social media un ambiente diverso da quello classico e “pubblicitario di vecchio stampo”, perchè decidere che l’azienda A non debba avere delle aspettative più misurate rispetto alla propria presenza sui social.
Ma soprattutto, perchè non comincare a parlare sia di Facebook in termini di conversazione pura e semplice sia dei LBS come parte integrante e iper-funzionale di una strategia social media?
Questo compito spetta a noi, e non può e non deve arrivare dalle aziende, non arriverà nell’immediato, ma sul lungo periodo, nel momento in cui no staremo già parlando della next big thing.

Tutto questo dal punto di vista dell’utenza di un servizio da ingaggiare e dal punto di vista dell’azienda da promuovere ma dal punto di vista di crea un LBS dove sta l’innovazione decisiva?

Nel modo di proporre advertising, ovvero come integrazione ed arricchimento del servizio stesso, come Ad as a Service.
In una mappa, tramite una pagina dedicata, integrata nel contenuto navigabile e consultabile, non con il solito banner ormai a mio avviso superato e non performante, tranne che in rari casi di utilizzo di rich media.

Un esempio validissimo di come un brand può essere un servizio e quindi mettere a disposizione una piattaforma integrata e produrre un servizio come advertising mi arriva dall’ottimo Paolo Iabichino, che mi segnala il post su Wired.it scritto da Luca de Fino che descrive una piattaforma creata da American Express, un caso isolato di virtuosismo e lungimiranza.

In definitiva i LBS rappresentano e stanno diventando la soluzione vincente per rappresentare effettivamente un ritorno in termini economici ad un’azienda, e permettere di far uscire molte professionalità affermate da quell’empasse di considerare le aziende come “diffidenti nei confronti dei social media”, si, molte lo sono, e talvolta pur avendo una presenza strutturata si comportano in maniera abbastanza goffa e controproducente.
Ma sono altrettanto convinto che prospettando ad un’azienda una prossimità tale al prodotto come quella propria di un LBS, quest’ultima accetterà di buon grado la pianificazione di una strategia comunicativa sui social media, potendo contare sulle diverse peculiarità dei vari Facebook, Twitter, YouTube ma anche sulla effettiva rappresentazione di un consiglio per gli acquisti conseguente ad un acquisto proprio dei LBS.

Quindi prevedo, come anche il buon Stefano mi ha fatto notare, un periodo di espansione per tutti coloro che prometteranno chissà quali miracoli su Facebook, a scapito purtroppo della qualità del servizio offerto, ed una edizione 2011 di SMAU e IAB con i primi stand dedicati ai LBS.

Il dibattito in questo senso sta portando ad una rivalutazione di Facebook in termini comunicativi a favore di altre piattaforme, la soluzione non è così drastica, si tratta di relegare ogni ambito alla sua funzione e prendere per mano l’azienda non scordandoci che la comunicazione per forza di cose deve essere integrata, il case stady arrvia ancora una volta dall’esperienza dei flash mob, molte volte il successo online porta i media a parlare del tuo marchio, ma molte volte, una buona comunicazione verso i media, ti porta ad avere successi online.
Questo periodo, per chi segue lo scenario social media con un certo occhio critico, è di transizione, vedremo cosa ne uscirà.


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